L’armonizzazione collettiva di valori, credenze e comportamenti tra dipendenti è un ingrediente chiave di una forza lavoro di successo. E’ anche una necessità del datore di lavoro e della leadership di ogni azienda al fine di assicurarsi che le proprie visioni ed ethos vengano implementate. Il concetto di selezionare potenziali candidati per determinare l’impatto culturale che questi avrebbero sull’organizzazione è definito cultural fit. Questa pratica è considerata dall’80% dei manager come una priorità quando si assume nuovo personale. La “cultural fit” tuttavia viene con molti dilemmi ed incognite. Qui risponderemo ad alcune delle più comuni situazioni che potrebbero presentarsi ai dipendenti nella loro ricerca di un posto di lavoro culturalmente adeguato.
Quando un colloquio non è sufficiente
Basare la propria “cultural fit” sull’esperienza professionale può risultare dispendioso in termini di tempo e addirittura controproducente, sarebbe ideale quindi assicurarsi che i colloqui includano domande che possano rivelare al meglio il carattere del candidato, il suo temperamento e i suoi valori. Tuttavia, il costo della selezione può risultare eccessivo, e richiedere più colloqui.
Chiedi a team a tutti livelli dell’organizzazione quali sono le loro prime impressioni.
Osserva come i candidati si relazionano ai managers piuttosto che a neo-assunti. Magari invita i candidati ad eventi sociali tra dipendenti e osserva come interagiscono fuori dall’ambiente di lavoro. La cultura del posto di lavoro dopo tutto riguarda come i dipendenti si relazionano tra loro, quindi osservare questo preventivamente spesso è più importante rispetto alle considerazioni riguardanti un colloquio.
Skills vs Cultural fit
Un dilemma comune affrontato da ogni datore di lavoro in un processo di assunzione è l’inevitabilità che i candidati spesso eccellono in alcuni campi piuttosto che altri. La domanda è quindi quali caratteristiche devono avere la priorità. Immagina di avere due candidati tra cui scegliere, uno con skill diversificate, un titolo di studio prestigioso e anni di esperienza nel settore, mentre l’altro mancando della stessa esperienza presenta carisma e personalità. L’istinto iniziale è di scegliere il primo. Prova però a pensare al worst case scenario per qualsiasi posto di lavoro – una cultura aziendale malsana. Chiunque abbia visto o sia stato coinvolto in un ambiente malsano sa quanto possa essere distruttivo per l’impresa.
Con questo in mente e quando bisogna decidere di assumere per il più grande obiettivo di un posto di lavoro coeso, scegliere il candidato che più si allinea ai valori aziendali è la scelta migliore. Un individuo motivato aperto all’apprendimento, crescere e lavorare con i suoi pari sarà più facile da gestire sul lungo termine. Dopo tutto, abilità e conoscenze possono essere apprese, ma la personalità è radicata.
Valori comuni vs diversità di idee
L’idea della cultural fit viene anche con i suoi errori e le sue contraddizioni. Per esempio, selezionando solo coloro nei quali il datore si riconosce a livello personale, ne emergerebbe un modo di pensare estremamente omogeneo sul posto di lavoro, che potrebbero prevenire quei radicali cambiamenti che possono portare la tua azienda da 1 a 1000. Mentre assumere coloro che sono destinati ad allinearsi ai valori e alla visione dell’azienda dovrebbe essere la priorità, la differenziazione delle culture, in termini di schemi di lavoro e di pensiero, è un aspetto chiave per la crescita.
La pratica di cercare connessioni personali invece che identificare valori comuni con i candidati è conosciuta come “beer test” perché nel momento di dover scegliere tra due candidati, si sceglie quello con cui si andrebbe a prendere una birra. Stando a Celia de Anca di IE Business School, questo porta le aziende ad apparire diversificate dall’esterno, ma rimanendo intrinsecamente omogenee. Afferma che “la bellezza della diversità è di avere persone differenti e uniche che si uniscono per lavorare ad un progetto comune”. Detto questo, il concetto di “diversità” sembra prendere un diverso significato se riferito all’idea di “cultural fit”.
Usare i dati o no?
Oltre a pregiudizi personali, un altro fattore che causa una incongruenza tra il cultural fit e la diversità necessaria nelle assunzioni è quello dei “big data”. Questo è il trend da parte delle aziende di utilizzare metodi scientifici e sofisticati per la selezione dei candidati, tramite tecniche e algoritmi di profilazione, cercando parole chiave che credono identifichi il candidato come culturalmente adeguato. Mentre questo sistema può risultare utile alle grandi aziende per risparmiare tempo e risorse, può essere dannoso in molti modi, e il problema risiede più che negli strumenti in sé, nei modi in cui vengono utilizzati dalle aziende
Ci sono due errori che emergono dall’affidarsi eccessivamente ai dati. Il primo è che potrebbe escludere a priori quegli individui che non si adeguano facilmente a nessun prototipo, perdendo quindi la possibilità di assumere individui che potrebbero fungere da mediatori tra i vari dipartimenti, non potendosi adeguare esclusivamente ad uno. Il secondo è che un eccessivo affidamento a questi dati può portare ad una eccessiva omogeneizzazione dei dipartimenti, isolandoli, rendendo più difficile la coordinazione inter-dipartimento.
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